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Malattia di Wilson

Malattia rara su base genetica a trasmissione ereditaria che comporta l'accumulo di rame in alcuni tessuti e organi. La diagnosi è resa spesso difficoltosa dall'assenza di sintomi 

La malattia di Wilson è una malattia genetica caratterizzata da un accumulo eccessivo, quindi tossico, di rame nell’organismo, in particolare nel fegato e nel cervello. Anche altri organi possono essere coinvolti, per esempio occhi, reni, ossa, ecc. e l’accumulo in genere è più elevato se la manifestazione è precoce. 

La malattia può essere trattata in modo molto efficace, mentre, in assenza di trattamento, evolve verso complicazioni epatiche: epatite, ittero, cirrosi, insufficienza epatica e disturbi neurologici: tremori, disturbi del linguaggio, disturbi del comportamento, presenza di movimenti involontari. 

È considerata una malattia rara e colpisce circa 1 caso ogni 30.000-100.000 persone, I portatori hanno una frequenza di 1:100 (Sandahl TD et al., 2020). È verosimile ipotizzare che la prevalenza sia sottostimata per la paucità o l’assenza di segni clinici nella fase iniziale della malattia e per l’assenza di un fenotipo specifico 

Analizzando i dati scaturiti dalla combinazione delle più ampie casistiche di pazienti con Malattia di Wilson descritte in letteratura risulta che la maggior parte dei pazienti in età pediatrica si presenta con un quadro di malattia epatica, mentre i sintomi neuropsichiatrici sono più comuni nella tarda adolescenza e nel giovane adulto e ricorrono solo nel 4-6% dei pazienti pediatrici con esordio epatico   

Il gene, il cui difetto è responsabile della malattia di Wilson, è l’ATP7B individuato e mappato sul cromosoma 13 (13q14.3) e si esprime principalmente nel fegato, nei reni e nella placenta.

Il gene normalmente codifica per un'ATPasi di trasporto di tipo P che ha la funzione di regolare l'efflusso di rame dall'epatocita nella bile e il suo legame alla ceruloplasmina.  Le funzioni di ATP7B risultano alterate nella malattia di Wilson.

Il rame si accumula così nel tessuto epatico, la ceruloplasmina viene ancora secreta ma in una forma deficitaria di rame e che si degrada rapidamente nella circolazione sanguigna

Le mutazioni sono rilevate nel 90% dei soggetti. Attualmente, sono note 40 varianti del gene ATP7B e più di 400 mutazioni dello stesso sono associate alla malattia di Wilson; solo poche tra queste però sono comuni, con prevalenza che varia in base all'etnia. I pazienti affetti dalla malattia di Wilson possono presentare due copie della stessa mutazione o due mutazioni differenti.

La malattia è ereditata con modalità autosomica recessiva. Per la trasmissione, entrambi i genitori di un individuo affetto devono possedere un gene alterato.

La maggior parte non ha una storia familiare della malattia. Le persone con un solo gene anomalo sono chiamati portatori (eterozigoti) e possono avere lievi anomalie, clinicamente insignificanti, del metabolismo del rame

La compromissione della normale escrezione del rame epatico dà luogo a un accumulo di tale metallo nel fegato Successivamente, il rame viene rilasciato nel sangue e si deposita in altri organi, in particolare nel cervello, nella cornea e nei tubuli renali. 

Nei bambini e negli adolescenti la malattia si manifesta come patologia del fegato senza segni neurologici e molto frequentemente viene scoperta occasionalmente in quanto asintomatica: spesso viene diagnosticata in seguito al riscontro di alterazioni degli enzimi epatobiliari in indagini eseguite di routine o per altre indicazioni.

Col progredire dell'età la malattia può presentarsi con i sintomi di una compromissione grave della funzione del fegato o con i segni di una cirrosi e/o sue complicanze e in rari casi come un'epatite fulminante caratterizzata da insufficienza epatica grave associata ad anemia emolitica. 

Nei giovani e negli adulti il danno del sistema nervoso si può manifestare con tremori, alterazioni del tono muscolare, difficoltà ad articolare le parole, movimenti involontari. In alcuni casi la malattia di Wilson può iniziare manifestandosi con disturbi del comportamento e della sfera psichica che possono simulare una patologia psichiatrica.

Quando l'accumulo di rame coinvolge l'apparato oculare compare un anello corneale, visibile con lampada a fessura, l'anello di Kayser-Fleischer, elemento utile alla diagnosi. Più raramente si possono riscontrare lesioni ossee, problemi endocrinologici, o a carico del cuore o dei reni. 

Il tempestivo riconoscimento della malattia è reso difficoltoso dall'andamento spesso asintomatico: soprattutto in età pediatrica si parte dal riscontro di transaminasi elevate durante l’esecuzione di esami di routine.

Escluse le cause virologiche, negli esami di secondo livello, tra gli accertamenti viene eseguito il dosaggio della ceruloplasmina nel sospetto di malattia di Wilson Il risultato di basse concentrazioni di ceruloplasmina nel sangue fa avviare un percorso diagnostico specifico.

La presenza di elevati livelli di rame nelle urine (cupruria) delle 24 ore e la possibile presenza dell'anello di Kaiser-Fleischer (determinato dall'accumulo di rame nella cornea all’esame oculistico) portano oggi a procedere con le indagini genetiche che svelano le mutazioni del gene ATP7B e offrono quindi una conferma della diagnosi (negli ultimi anni alcune volte la ricerca non ha dato esito positivo per una diagnosi certa a causa del elevato numero di varianti della mutazione, che sono circa 400).

È importante effettuare test genetici anche per lo screening dei parenti di primo grado, onde individuare precocemente la malattia o lo stato di portatore sano: un soggetto affetto da malattia di Wilson nasce unicamente da due genitori entrambi sani e portatori della mutazione (trasmissione autosomica recessiva).

Utile effettuare la risonanza magnetica cerebrale, per valutare la presenza di alterazioni dei nuclei della base, regione del cervello più colpita dall'accumulo di rame.

Anche se non più obbligatoria come in passato, la biopsia epatica in alcuni pazienti e nei casi dubbi è ancora necessaria per la valutazione dei livelli di rame nel tessuto epatico (un valore elevato conferma la diagnosi) e permette anche di valutare il livello del danno epatico presente

La malattia di Wilson può essere efficacemente controllata attraverso una terapia farmacologica che ha lo scopo di ridurre i depositi di rame nei tessuti.

In soggetti asintomatici o in terapia di mantenimento, può essere utilizzato l'acetato di zinco che a livello intestinale stimola la produzione di una metallotionina che legandosi al rame ne favorisce l'eliminazione attraverso le feci.

Da qui la necessità di diagnosticare e trattare la malattia di Wilson già in età pediatrica, quando la sintomatologia è ancora scarsa se non del tutto assente.

Per il trattamento dei pazienti con sintomatologia conclamata, la terapia si basa sull'impiego dei cosiddetti chelanti (penicillamina o in caso di scarsa tollerabilità la trientina) che si legano al metallo favorendo l'eliminazione del rame dal fegato e dagli altri tessuti attraverso le urine.

In tutti i casi il trattamento deve essere proseguito per tutta la vita. È consigliabile, inoltre, evitare tutti gli alimenti ad alto contenuto di rame, come il fegato di bovino, le frattaglie, le ostriche, i crostacei, il cioccolato, la frutta secca e i legumi. 

La malattia di Wilson, quando correttamente trattata, ha una prognosi favorevole con un'aspettativa di vita paragonabile a quella della popolazione generale. 

Prima si inizia la terapia, migliore sarà la prognosi e la qualità della vita. Intervenire in ritardo significa correre il rischio che la funzione di alcuni organi rimanga compromessa in modo irreparabile.

Nei casi con danno epatico avanzato e irreversibile, il ricorso al trapianto di fegato ha permesso la sopravvivenza di molti pazienti.

Malattia di Wilson: Codice RC0150

 

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  • A cura di: Maria Rita Sartorelli
    Unità Operativa di Patologia Metabolica
    Unità Operativa di Epatologia e clinica del trapianto
  • in collaborazione con:

Ultimo Aggiornamento: 03  Settembre 2024 


 
 

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