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Leucemia Acuta (LA)

Caratterizzata da un'alterazione della proliferazione delle cellule staminali emopoietiche. . La polichemioterapia è il trattamento di scelta 

L'incidenza di leucemie in età pediatrica in Europa è da valutarsi intorno a 8 casi su 100.000 ogni anno. La Leucemia Linfoide Acuta (LLA) è almeno sei volte più frequente della Leucemia Acuta non Linfoide o Mieloide (LANL o LAM).  

Più dell’80% delle Leucemie Linfoidi Acute pediatriche e solo il 50% delle Leucemie Acute non Linfoidi sono da considerarsi come completamente guaribili

L'esposizione ad agenti come radiazioni, idrocarburi, chemioterapici (alchilanti, nitrosuree), inibitori delle Topoisomerasi II, può essere associata all’insorgenza di Leucemie Acute (LA).
Danni da tali agenti causano mutazioni e anomalie cromosomiche che inducono alterazioni della differenziazione e proliferazione della cellula staminale emopoietica.  

Raramente sono stati descritti casi familiari di Leucemia Acuta; mentre è nota un'aumentata frequenza in bambini con sindrome di Down e in altri disordini congeniti tra cui Atassia-Teleangectasia, sindrome di Bloom, Monosomia 7, anemia di Fanconi, sindrome di Blackfan-Diamond e Schwachman-Diamond.

Nelle Infant-Leucemie che coinvolgono bambini di età inferiore a 12 mesi, è stata dimostrata con elevata frequenza una ben definita alterazione genetica, la traslocazione t(4;11).

Tali leucemie della primissima infanzia e talora coniatali (malattie che si acquisiscono durante l’espletamento del parto) hanno una prognosi particolarmente grave, sono in corso studi epidemiologici atti a definire il ruolo dell’esposizione a un possibile agente oncogeno nel corso della gravidanza e/o nei primi mesi di vita.

Le moderne tecniche citochimiche immunologiche, citogenetiche e di biologia molecolare hanno portato un contributo determinante nella diagnostica e classificazione della leucemia acuta, sottolineando l'importanza prognostica e terapeutica di molte caratteristiche biologiche.

La diagnosi di leucemia acuta e il percorso terapeutico da intraprendere sono il risultato finale di un complesso iter diagnostico che parte dal sospetto posto del medico di base.

La manifestazione della malattia è estremamente individuale, essendo caratterizzata dall'associarsi di sintomi di emorragia, anemia, sintomi di infezione e coinvolgimento d'organo, proporzionata al livello d'infiltrazione leucemica nel midollo e nei vari tessuti.

Pertanto, il quadro di sintomi che fa porre un sospetto diagnostico può essere più o meno sfumato e complesso anche in relazione alla tempestività della diagnosi e al tipo di leucemia.

MANIFESTAZIONE

CAUSE

Sindrome emorragica

Piastrinopenia

Coagulazione Intravascolare Disseminato

Piastrinopatia

Iperfibrinolisi

Difetti acquisiti di fattori coagulativi (infiltrazione epatica)

Sindrome anemica

 

Difetto di produzione (invasione midollare)

Aumentata distruzione (autoimmune – molto rara)

Sindrome infettiva

Neutropenia

Monocitopenia

Imbalance linfocitario

Deficit Ig (raro)

I sintomi emorragici

Sono quasi esclusivamente dovuti alla piastrinopenia che è causata da difetto di produzione per l'invasione midollare da parte del clone leucemico.

In genere, la piastrinopenia è sintomatica al di sotto delle 20.000/mmc piastrine, ed emorragie spontanee compaiono sotto le 10.000/mmc. Ovviamente, la riduzione dei livelli di altri fattori della coagulazione per un interessamento soprattutto epatico può aggravare e rendere più evidente i sintomi emorragici della cute e/o mucosa.

Una considerazione a parte va fatta per la leucemia acuta non linfoide promielocitica (M3 sec. la classificazione FAB) in cui la grave sintomatologia emorragica ha come causa una coagulazione intravascolare disseminata (CID) caratterizzata da un consumo dei fattori della coagulazione, piastrine comprese, innescato dalla liberazione di sostanze trombinosimili derivanti dalla rottura delle cellule leucemiche.
Anche se raramente, la coagulazione intravascolare disseminata può essere il sintomo d'inizio in tutte le leucemie acute.

Anche l'anemia normocitica causata da un difetto di produzione è legata all'invasione midollare, più raramente alla sindrome emorragica, e quindi è variabile, oscillando tra l'emergenza trasfusionale (Hb < 6 g%) e livelli di Hb molto vicini alla norma.

Una leucemia acuta all'inizio può presentarsi con una massiccia leucocitosi. In questo caso i blasti (cellule leucemiche) possono raggiungere anche cifre superiori a 500.000/mmc: sono queste le forme dette iperleucocitarie che hanno quasi sempre sintomi e prognosi da considerare, richiedendo una terapia complessa con procedure di leucoaferesi.

In alcuni casi, i leucociti sono quantitativamente normali o addirittura significativamente ridotti, e quindi è presente una minore quantità di cellule leucemiche nel sangue periferico. Non è detto che la quantità di cellule leucemiche nel sangue periferico correli con l'entità dell'infiltrazione leucemica midollare.

La neutropenia periferica può essere più o meno marcata; anch'essa dipende dalla ridotta disponibilità di una rimanente emopoiesi normale. La neutropenia è la principale causa, accanto alla monocitopenia e talora alla ipogammaglobulinemia, di sintomi infettivi che possono essere particolarmente gravi anche sin dall'inizio: sintomi infettivi resistenti ai comuni antibiotici indicano a volte un inizio di molte malattie mielo e linfoproliferative, incluse le leucemie.

Il numero di 500/mmc granulociti neutrofili sembra essere il valore al di sotto del quale la frequenza del rischio infettivologico è maggiore e la terapia antibiotica deve seguire schemi consolidati di poliantibioticoterapia.

Ovviamente l'infiltrazione leucemica condiziona la serie linfocitaria ed è frequente sia un deficit quantitativo dei linfociti B e T, che uno squilibrio qualitativo: ciò rende ancora più precario il complesso meccanismo della risposta immune.

L'obiettività clinica di una leucemia acuta all'esordio può essere la più variabile. Trattandosi di una malattia sistemica ogni organo o apparato può essere infiltrato dal clone leucemico e proporzionatamente si avranno dei sintomi e un'alterazione delle normali funzioni.
Frequenti sono i sintomi di:

  • Epatosplenomegalia;
  • Adenomegalie, soprattutto nelle forme linfoidi;
  • Ipertrofia gengivale nelle forme mieloidi, soprattutto monocitarie;
  • Localizzazioni meningee e gonadiche, soprattutto testicolari.

Comunque, va data attenzione alle forme con elevata massa neoplastica, cioè con vistose organomegalie, blastosi periferica superiori a 100.000/mmc e localizzazioni extra-emopoietiche.

Il moderno approccio alla diagnosi e cura della leucemia acuta ha stabilito che i sintomi all'inizio possono guidare la diagnosi, ma non è in grado di distinguere con sufficiente approssimazione tra forme mieloidi e forme linfoidi.

Per la diagnosi di leucemia acuta è necessario l'esame del citoaspirato midollare che si può effettuare in varie zone del corpo, come le creste iliache anteriori e posteriori, cioè il bacino, lo sterno e, nei bambini più piccoli, la tibia.

Negli anni '80 il FAB Group (Gruppo Franco-Americano-Britannico) ha internazionalmente standardizzato i criteri diagnostici delle leucemie acute definendo la presenza del 25% di blasti nel midollo come limite al di sopra del quale si fa diagnosi di leucemia acuta.

Per la diagnosi differenziale tra leucemia acuta linfoide e mieloide lo stesso Gruppo FAB ha definito l'importanza delle colorazioni citochimiche Mieloperossidasi (forme mieloidi) ed Esterasi (forme mieloidi a componente monocitica).

Sappiamo che ancora oggi esiste soprattutto in età pediatrica una differente prognosi e una differente terapia tra forme linfoidi e non linfoidi e pertanto la diagnosi differenziale ha un impatto prognostico e terapeutico.

La classificazione in sottotipi L1, L2, L3 nell'ambito delle forme linfoidi ha perso significato, ove si eccettuino le L3 (fenotipo immunologico B-maturo; aspetto Burkitt-like) che hanno una prognosi peggiore e che pertanto necessitano di trattamenti più aggressivi.
Per la definizione dell'ontogenesi B o T della leucemia linfoide e del livello differenziativo raggiunto dal clone leucemico, la tipizzazione immunologica (citofluorimetria) ha un ruolo determinante.

La tipizzazione immunologica è importante anche nella diagnostica differenziale tra forme linfoidi e non linfoidi, soprattutto in quelle meno differenziate.
Alcuni fenotipi immunologici costituiscono fattori prognostici favorevoli o sfavorevoli anche se spesso non sono indipendenti dagli altri fattori, sintomi e fattori biologici. 

Per quanto riguarda la sottoclassificazione delle forme non linfoidi il Gruppo FAB ha definito una sequenza di criteri morfologici e citochimici che distinguono le leucemie M1, M2, M3, M3V, M4, M5a, M5b, M6, M7, dalle sindromi mielodisplastiche (forme preleucemiche).
La forma M1 è la più indifferenziata, le forme M4, M5a, M5b sono forme a varia componente monocitica, la forma M6 è l'eritroleucemia, la forma M7 è la leucemia megacarioblastica.

Le forme monocitiche pure e soprattutto l'eritroleucemia possono essere considerate forme a prognosi peggiori.
L'M3/M3v rappresentano due aspetti della leucemia promielocitica, che ha una "indipendenza" clinica (gravi complicanze emorragiche per coagulazione intravascolare disseminata all'esordio), terapeutica e prognostica (migliore delle altre forme in quanto a prospettive di guarigione).

La presenza di una coagulazione intravascolare disseminata all'esordio e quindi l'elevato rischio emorragico, spesso cerebrale, con elevata mortalità, rende indispensabile una precoce diagnosi e terapia delle forme M3. I criteri morfologici (forme spesso ipergranulari), immunologici (CD13+, CD33+, HLA-DR-) e soprattutto citogenetici/molecolari (traslocazione t 15;17) consentono la precisa e tempestiva diagnosi.

La citogenetica e la genetica molecolare sono recentemente state utilizzate nella diagnosi, prognosi, e terapie di tutte le leucemie acute. 
L'analisi molecolare è divenuta parte essenziale nella diagnostica delle Leucemie Acute.
Il problema tuttora è che anche specifiche anomalie genetiche non hanno un valore prognostico indipendente.

La diagnosi delle leucemie richiede quindi un complesso approccio che è possibile solo in centri specializzati che lavorano in gruppi di ricerca nazionali e internazionali. Solo così è possibile una corretta diagnosi di tipo e sottotipo e quindi una corretta prognosi e terapia.

La polichemioterapia ha avuto un indiscutibile successo nel trattamento delle Leucemie Acute.
La terapia di Induzione con Vincristina, Prednisone e L. Asparaginasi, seguita da una terapia post-remissionale con 6-mercaptopurina e methotrexate, è divenuta uno standard per le Leucemie Linfoidi Acute.

Successivamente due approcci fondamentali hanno migliorato le possibilità di guarigione: la profilassi delle localizzazioni meningee, punture lombari terapeutiche, e l'introduzione di alternati cicli di polichemioterapia, successivi all'ottenimento della remissione completa.

La polichemioterapia intensificata viene oggi sempre meglio strutturata cercando di personalizzarla a definiti sottogruppi di pazienti ad alto rischio.

Vengono definiti ad alto rischio i pazienti che presentino all'inizio resistenza alla prefase steroidea, alterazioni citogenetiche, età inferiore ad un anno o maggiore di 15 anni, immunofenotipo T, B maturo, Ibrido, globuli bianchi superiori a 100.000, localizzazioni extraemopoietiche.

I moderni protocolli per la terapia delle Leucemie Linfoidi Acute utilizzano in genere Prednisone, Vincristina, L.Asparaginasi, Methotrexate (basse ed alte dosi), Ciclofosfamide, Adriblastina, Citosina-Arabinoside, 6-Thioguanina, 6-Mercaptopurina, strutturati in successione come terapia di Induzione, Consolidamento, Reinduzione, Mantenimento.

Al termine della terapia di Induzione si ottiene quella che viene definita come remissione completa (RC), cioè la morfologica normalizzazione del citoaspirato midollare, del sangue periferico e la scomparsa di ogni obiettività.

Ovviamente lo scopo della terapia successiva, della durata di due anni, è quello di ridurre ulteriormente la massa neoplastica. Disponendo oggi di tecniche avanzate come la PCR (Polymerase Chain Reaction) siamo in grado di individuare anche una cellula leucemica residua su 105 cellule totali.
Recenti dati hanno dimostrato nella Leucemia Linfoide Acuta che un livello di blasti minore di 10-5  si associa ad un'elevata probabilità di guarigione.

Pertanto i nuovi protocolli terapeutici che potrebbero ulteriormente migliorare la prognosi sono guidati dall'analisi della Malattia Minima Residua (MMR). Viene così valutata la "quantità residua" di leucemia durante il trattamento che viene intensificato proporzionalmente a tali dati.

Da alcuni anni i pazienti affetti da leucemia linfoblastica acuta (LLA) a precursori delle cellule B, hanno nuove opportunità di migliorare ulteriormente la prognosi avvalendosi dell’utilizzo di anticorpi monoclonali

Il blinatumomab è un anticorpo monoclonale appartenente ad una nuova classe di anticorpi bispecifici chiamati BITE, che esercitano un’azione selettiva e dirigono il sistema immunitario umano selettivamente contro le cellule leucemiche.  

Studi clinici sperimentali di fase I/II pubblicati negli ultimi anni hanno documentato l’efficacia del Blinatumomab in pediatria, nel trattamento delle leucemie acute linfoblastiche-B refrattarie o resistenti.
In considerazione degli eccellenti risultati ottenuti in corso di sperimentazione clinica in età pediatrica, le nuove frontiere di sviluppo del farmaco prevedono la sua introduzione in protocolli di consolidamento in pazienti trattati per recidiva di malattia e addirittura in front-line per pazienti allocati alla fascia di rischio alta.  

Inotuzumab ozogamicin è un anticorpo monoclonale coniugato al chemioterapico calicheamicina in grado di riconoscere e legarsi a una specifica proteina presente sulla superficie della cellula bersaglio (CD22). Dopo il legame, l’anticorpo rilascia (soltanto a livello delle cellule bersaglio) il farmaco chemioterapico.

In uno studio condotto su più di 300 pazienti affetti da LLA B resistente o recidiva, Inotuzumab ozogamicin ha permesso di ottenere la remissione completa in oltre l’80% di casi con il conseguente vantaggio di rendere eleggibile al trapianto di cellule staminali emopoietiche questa popolazione di pazienti. 

Le CAR-T sono una terapia innovativa in campo onco-ematologico, che permette di offrire una possibilità di cura a pazienti con leucemie linfoblastiche che sono andati incontro a ricaduta dopo una o più terapie convenzionali.

La terapia è basata sui linfociti T, un particolare tipo di globuli bianchi responsabili della difesa del nostro organismo dalle malattie (sono considerati i “soldati” del nostro sistema immunitario). Nei pazienti con questo tipo di tumori del sangue però, i linfociti non sono in grado di garantire la propria capacità di difesa immunitaria.

Le CAR-T richiedono una complessa preparazione che ha inizio con il prelievo di cellule dal sangue del paziente che vengono poi separate dal resto delle cellule sanguigne e del plasma attraverso una tecnica chiamata aferesi, che consente la raccolta dei linfociti del paziente. I linfociti vengono poi spediti nei laboratori deputati al processo di ingegnerizzazione, secondo un rigido protocollo di controllo di qualità.

Una volta in laboratorio, all’interno dei linfociti viene introdotto il recettore CAR (Chimeric Antigen Receptor) capace di riconoscere le cellule tumorali: i CAR-T così ottenuti esprimono sulla propria superficie il recettore che individua l’antigene CD 19, una proteina caratteristica delle cellule leucemiche.

La procedura ha una durata di circa 3-4 settimane, trascorse le quali i linfociti CAR-T possono essere infusi nel sangue del paziente, al fine di attaccare e distruggere le cellule tumorali.  
La terapia con CAR-T offre ai pazienti con leucemie aggressive e con molteplici ricadute, una possibilità ulteriore per provare a controllare la malattia, con un importante aumento della sopravvivenza, e una possibilità di guarigione in circa il 40% dei casi.

Anche nelle Leucemie Acute non Linfoidi la polichemioterapia ha dato risultati significativi seppure inferiori rispetto alle Leucemie Linfoidi Acute. Le percentuali di guarigione possono essere valutate fra il 50 ed il 70%.

Gli antraciclinici associati alla Citosina-Arabinoside permettono un'elevata percentuale di Remissione Completa; il trattamento intensivo post-remissionale con Chemioterapia o Trapianto di Midollo è indubbiamente l'approccio terapeutico migliore che consente di raggiungere la più alta percentuale di guarigioni. 

Anche in queste forme di leucemia la quantificazione della Malattia Minima Residua offre un notevole contributo prognostico e terapeutico.
Un discorso a parte merita la Leucemia Acuta promielocitica (APL) (M3, M3v); la Leucemia Acuta promielocitica è caratterizzata da aspetti che rendono necessaria una accurata diagnosi ed uno specifico approccio terapeutico.

Tra le caratteristiche cliniche vi è la presenza di una concomitante e grave coagulopatia da consumo che può indurre mortali emorragie cerebrali, e la sensibilità terapeutica all'acido retinoico (ATRA) che ha radicalmente modificato l'approccio terapeutico a questa leucemia negli ultimi anni.

Pur essendo una leucemia ad alto rischio quoad vitam nei primi giorni, nella Leucemia Acuta promielocitica la percentuale di guarigione è superiore al 90% e raramente si osservano recidive.

Uno degli approcci terapeutici alle Leucemie Acute è il trapianto di midollo. Il trapianto di midollo va attualmente considerato come trapianto di cellule staminali emopoietiche.
Nel generico e vecchio termine di Trapianto di Midollo sono comprese differenti procedure di Trapianto di cellule staminali dopo terapia sovramassimale. In effetti il variare della procedura trapiantologica è condizionato dalla sorgente di cellule staminali.

Come procedura intendiamo condizionamento, prevenzione della GVHD, attecchimento e terapie collaterali. Le sorgenti vanno divise in autologhe ed eterologhe.

Le autologhe sono il sangue periferico (CSP) ed il midollo osseo autologo (ABM); le eterologhe sono il familiare compatibile (germano), il donatore da Registro compatibile (non familiare), il donatore più o meno "incompatibile" (a seconda della compatibilità nell'ambito dei loci del sistema dell'antigene leucocitario umano), ed il sangue da cordone ombelicale.

A tutt'oggi il ruolo del trapianto di cellule staminali nelle Leucemie Acute è ben definito nelle sue indicazioni generali anche se ha numerose variabili a seconda dei protocolli internazionali, delle opinioni scientifiche e del singolo caso.

È nostra opinione, però condivisa da molti ematologi, che tuttora il ruolo dell'Autotrapianto nelle Leucemie Acute è da discutere fintantochè non sarà disponibile un purging sicuro (pulizia da eventuali cellule leucemiche con lo stesso fenotipo delle cellule staminali) e resterà indispensabile la reazione immune contro le cellule leucemiche (GVL = Graft versus Leukemia), caratteristica del trapianto allogenico.

Nelle Leucemie Acute Linfoidi vi sono indicazioni al trapianto in I RC solo in casi ad alto rischio, ben definiti da caratteristiche prognostiche all'esordio o durante la terapia.
Diverso è il trattamento della prima o ancor più delle successive recidive. Determinanti sono senz'altro alcune condizioni:

  • Numero della recidiva;
  • Momento della recidiva (precoce o tardiva);
  • Disponibilità o meno di un donatore compatibile intrafamiliare;
  • Tipo della recidiva (extra e/o intramidollare).

In definitiva il trapianto di cellule staminali va considerato come una terapia in più, sovramassimale, che va legata alla necessità di ottenere una significativa percentuale di guarigione non ottenibile altrimenti (anche con l'utilizzo di "bracci" più aggressivi dei protocolli chemioterapici).

Nel bilancio va inclusa ovviamente una valutazione del rischio mortalità (non attecchimento, GVHD, infezioni, emorragie, ecc.) insito nella stessa procedura trapiantologica.
Tale rischio, anche se in progressiva via di riduzione, è del ~ 5% per gli autologhi, del ~ 10-15% per gli allotrapianti compatibili sino a superare il 30% per gli allotrapianti con minore compatibilità nell'ambito del sistema dell'antigene leucocitario umano.

Un bilancio tra possibilità di guarigione con la sola chemioterapia, possibilità di guarigione col trapianto, rischio di mortalità con la sola chemioterapia e rischio di mortalità con il trapianto guida la scelta che poi sarà supportata o meno da numerosi altri dati biologici, clinici ed etici.

Per fare un esempio ancora una volta la Infant Leukemia può essere paradigmatica: una Leucemia Acuta Linfoide di età inferiore a 12 m, iperleucocitaria, con riarrangiamento MLL, e scarsa risposta alla prefase steroidea ha meno del 10% di possibilità di guarigione con la sola chemioterapia e quindi una procedura di trapianto di cellule staminali può essere l'unica chance di guarigione.

Recenti dati del maggior gruppo ematologico pediatrico nordamericano (CCG) dimostrano invece che nelle Leucemie Acute non Linfoidi il trapianto di cellule staminali allogenico può giocare un ruolo decisivo anche in I RC nell'incrementare le percentuali di guarigioni.

In I RC nei gruppi di Leucemie Acute non Linfoidi a basso rischio (citogenetica favorevole) non tutti sono d'accordo sull'utilità del Trapianto di cellule staminali anche da fratello compatibile; mentre è certamente indicato nelle Leucemie Acute non Linfoidi ad alto rischio e/o citogeneticamente sfavorevoli e nelle recidive.

 

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  • A cura di: Roberta Caruso
    Unità Operativa di Oncoematologia
  • in collaborazione con:

Ultimo Aggiornamento: 26  Gennaio 2022 


 
 

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