"Be the change: unite for a better internet" è lo slogan del Safer Internet Day 2017, la Giornata mondiale per la sicurezza in Rete, istituita e promossa dalla Commissione Europea, che si celebra quest'anno il 7 febbraio, in contemporanea in oltre 100 nazioni di tutto il mondo. Obiettivo dell'evento: far riflettere le ragazze e i ragazzi non solo sull'uso consapevole della rete, ma anche sul ruolo attivo e responsabile di ciascuna e ciascuno nella realizzazione di internet come luogo positivo e sicuro. In concomitanza con il Safer Internet Day, quest'anno si terrà la prima Giornata nazionale contro il bullismo e il cyber bullismo a scuola, dal titolo "Un Nodo Blu – le scuole unite contro il bullismo". Un'iniziativa lanciata dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca nell'ambito del Piano nazionale contro il bullismo.
Abbiamo chiesto alla dottoressa Paola Tabarini, psicologa e psicoterapeuta del Bambino Gesù, di parlarci di questi fenomeni e dei soggetti che coinvolgono.
Dottoressa, che cosa intendiamo quando parliamo di bullismo e di cyber bullismo?
Si tratta di fenomeni in espansione, che consistono nell'azione prepotente di un singolo, sempre sostenuto da un gruppo, ai danni di un coetaneo, soprattutto in ambito scolastico. Ne sono sempre più coinvolti anche bambini, tra i 7 e i 10 anni, e ragazzi tra i 14 e i 17. Il termine, estrapolato dall'inglese "bullying", letteralmente significa intimorire, anche se nella traduzione in italiano perde il senso intenzionale dell'atto, l'asimmetria della relazione, il perpetrarsi dell'azione nel tempo.
Il cyber bullismo non è altro che la manifestazione in rete del bullismo: un insieme di azioni aggressive e intenzionali, realizzate mediante strumenti elettronici, il cui obiettivo rimane lo stesso: intimorire e assoggettare un singolo, per segnare la propria superiorità.
Che caratteristiche ha il fenomeno e quali sono i tratti distintivi dei soggetti che ne fanno parte?
Innanzitutto dobbiamo fare una precisazione: il bullismo non è il fenomeno di un singolo contro un'altra persona. E', al contrario, un processo che coinvolge un gruppo. Non esiste bullismo senza quell'insieme di dinamiche che caratterizzano i gruppi che si creano negli ambienti collettivi, come la scuola. Il bullo può stare da solo, mentre perché ci sia bullismo è necessario che esista il gruppo, con un leader, con persone che lo seguono e lo riconoscono, i complici, e una vittima. Nessuno dei soggetti può vivere senza l'altro.
Questo è vero anche nel cyber bullismo. Se la tecnologia permette un anonimato altrove impossibile – il che rende il soggetto ancora più forte – è però nella visibilità che il bullo trae il suo piacere e la sua legittimazione. Non agirebbe, senza un gruppo di pari a cui mostrare le proprie eclatanti azioni. C'è necessità di avere qualcuno che riconosca come leader un soggetto, perché esista un leader. Per questo sono i testimoni a far esistere il bullo, non solo la vittima.
Non è possibile designare la tipologia del bullo, anche se normalmente sono ragazzi che non vanno bene a scuola, forse anche perché non hanno il sostegno adeguato. Se la prendono con il coetaneo che va bene, perché presumibilmente rappresenta la parte di loro che non riesce a funzionare. Vedono nell'altro aspetti e caratteristiche che vorrebbero ma non hanno, e quindi diventa il bersaglio del loro accanimento.
Le vittime generalmente sono ragazzi che vanno bene a scuola. Hanno sicuramente una "trasgressività" non espressa, e faticano invece a intercettare dentro di loro le caratteristiche che appartengono al bullo.
I complici si aggregano al leader perché rappresenta la forza, che loro non hanno, o non sentono di avere. Sono spesso bambini e ragazzi molto timidi, incapaci di verbalizzare le proprie emozioni o prendere una posizione esponendosi, e pertanto si appoggiano a quella del soggetto più forte.
Per combattere il bullismo bisogna "tornare indietro e ripartire". Dire alle vittime come proteggersi, ma anche capire perche' il bullo fa il bullo e il gruppo glielo consente. Cosa possono fare nello specifico le famiglie, gli insegnanti, in questo senso?
Bisogna combattere il bullismo "da dentro". Bisogna salvare il gruppo con un altro gruppo. Non l'isolamento del bullo, ma la sua reintegrazione, attraverso l'osservazione – anche di uno specialista – degli atteggiamenti delle persone che appartengono a quel gruppo. Per prevenire, dunque, è necessario partire dagli adulti.
Dalla scuola, dove gli insegnanti devono creare un circolo virtuoso di osservazione e sostegno, grazie al quale si può pensare di provare ad estirpare il bullismo. L'osservazione attenta di tutti i ragazzi – nei momenti di svago, così come in classe – è la prima azione utile per iniziare a individuare il problema. Dopodiché è necessario sciogliere il fenomeno, fluidificarlo, attraverso un lavoro di gruppo e sul gruppo. Tenere il bullo dentro, è un possibile sistema che può trasformare le dinamiche dopo averle conosciute e riconosciute. Non serve escludere, isolare, portare fuori. Così come nasce nel gruppo, si può "curare" attraverso il gruppo stesso.
Le famiglie che, dal canto loro, devono fornire un esempio. Il concetto di modello, nei bambini e nei ragazzi, è fondamentale. Il modello sociale attualmente non aiuta. Se si inorridisce di fronte ai fenomeni di violenza fra i giovani, dobbiamo doverosamente interrogarci su cosa trasmettiamo loro. Gli adulti sono i primi ad utilizzare i social network e la tecnologia per aggredirsi a vicenda. E' un modello che necessariamente si trasferisce alle generazioni successive.
"Nessun discorso di odio" è il titolo del concorso bandito dal Ministero dell'Istruzione. Per stimolare la riflessione sui rischi e i pericoli dell'odio on line e dell'incitamento ad esso da parte dei giovani nei confronti dei loro compagni e coetanei. Dobbiamo chiederci: perché tirano fuori tutto questo odio?
Per capirlo serve la formazione, non solo "frontale". L'insegnante, soprattutto, deve poter apprendere le dinamiche del gruppo vivendolo in prima persona attraverso l'esperienza del gruppo. Lo specialista ne spiegherà i meccanismi, le modalità di comunicazione verbale e non, ma reindirizzerà la formazione all'interno del gruppo, aiutando la conoscenza attraverso l'esperienza.
La scuola, così come la famiglia, potranno dare ai ragazzi la capacità di scegliere sempre e comunque solo se sapranno fornire gli strumenti per saper discernere il positivo dal negativo.
Condivisione, formazione, prevenzione. sembra questa la ricetta per dare un calcio all'odio ed "essere il cambiamento", come recita lo slogan della giornata.
Dobbiamo concedere ai bambini spazio nella nostra mente, oltre che nel cuore. Dare spazio al pensiero, al pensare insieme, al condividere le esperienze. Abbiamo poco spazio da concedere loro, in una vita dove tutto avviene velocemente, di corsa. Si ha la tendenza a fare più cose insieme, con il risultato che non si fa nulla con la mente concentrata. E' importante fare le cose con attenzione. Ascoltare. Condividere. I bambini hanno bisogno di riscoprire la bellezza della partecipazione, dello spazio mentale che sentono che l'adulto gli riconosce. Così si abitueranno ad essere dei soggetti sociali attenti, capaci di esternare le emozioni dentro dinamiche di gruppo armoniose.
Solo partendo dal nucleo possiamo sperare in un cambiamento sociale che trasformi tutti i livelli intorno.
La gallery dei lavori con i quali i pazienti del Bambino Gesù hanno detto: "No al Bullismo!"